Vorrei che mi portassi nel luogo esatto in cui ti è cascato quel gelato che tua madre non ha voluto ricomprarti, e usare una delle nostre bottiglie migliori, per brindare alle delusioni.
Vorrei che mi portassi in cima alle scale del tuo liceo, dove hai visto quella stronzetta a cui avevi regalato le poesie di Baudelaire, baciare quel tipo allampanato di 3B. Ti lascerei infilare la mani sotto la mia maglietta, e spazzar via la rabbia dei quindici anni a colpi di lingua e barba ruvida dei tre giorni.
Vorrei che mi portassi nella tua stanza di adolescente, dovei hai consumato litri di inchiostro in poesie e lettere d’amore, che a leggerle ora, sorridere è poco. Ed ascoltarle tutte, e bere ogni parola come se fosse stata scritta per me, e finire finalmente a far l’amore in quel lettino scomodo, che ha visto solitudine e qualche pomiciata pomeridiana, con la scusa di una versione di latino.
Vorrei portarti al parco, dove da piccola mi sono rovinata un ginocchio volando con i pattini, e lasciarti accarezzare tutte le mie cicatrici.
Vorrei portarti a Bologna, e farci pace una volta per tutte, che ogni volta ci sono stata per un motivo sbagliato, e c’era troppa nebbia, troppo sole, troppi pretesti per tornare, troppe malinconie da lasciare andare. Magari con te potrei trovarne una giusta di ragione, tra i portici cosce di mamma Bologna.
Vorrei portarti in una piazza sul mare, che ha segnato l’inizio di quello che credevo fosse il mio tutto, e si è portata appresso la fine del mondo come lo conoscevo.
E spazzare via con un lunghissimo abbraccio, illusioni e rimpianti, e accogliere i tuoi sperando che ancora ci sia un buon motivo.
Vorrei conoscere tutti i tuoi fallimenti, e presentarti le mie debolezze, e rinchiuderli in un sacchetto insieme a dolci e caramelle, e regalarli al mare, che li custodisca per tempi migliori.
Vorrei che decidessimo insieme, a tavolino, la nostra canzone.
Che non si porti appresso, per nessuno dei due, ricordi spiacevoli oppure troppo belli, ché non ci meritiamo distrazioni.
Una canzone che parli di noi, che ci insegni e ci inventi da zero, da cantare come ninna nanna ai nostri figli e sussurrare piano, come una formula magica, quando dormiremo distanti, per ritrovarci.
Vorrei inventare una parola d’ordine, da usare in tempi di pace, per prevenire assalti frontali, e disarmare le cattive intenzioni.
Vorrei disegnare una mappa nuova, dei luoghi che ancora non ci appartengono, e di quelli che un tempo sono stati solo un po’ nostri. Ripercorrere le nostre impronte incerte su sentieri già battuti, e scoprire ora quelle orme, più profonde di fardelli emotivi.
E piantare bandierine sul Risiko delle nostre macerie, alla conquista di un nuovo mondo, pionieri disillusi e allo sbando, alla ricerca della felicità.
che bello!
Grazie 😊