Siamo ancora tutti sconvolti dall’attentato di Orlando.
Ma poco propensi a sbandierare i nostri “Je suis”, come successe invece per altri attacchi terroristici.
Il maschio italiano non vuole scalfire la propria virilità, non sia mai che qualcuno dubiti che gli piaccia la figa, ma non si fa scrupoli a scalfire la propria umanità.
Più di tutto a me ha sconvolto il silenzio mediatico – ecco magari proprio silenzio no: chiamiamolo bisbiglio sommesso, come in chiesa – invece dei titoli urlati dopo gli attentati di Parigi o Bruxelles.
E i commenti dal basso, di chi sembra vivere in un altro mondo, in cui la comunità LGBT è considerata una specie di ghetto con cui è meglio non mescolarsi.
L’opinione più diffusa è in effetti che i gay si ghettizzano da soli
Fanno i gay pride mascherati da pagliacci e frequentano locali per gay contribuendo da soli alla propria discriminazione.
A me sembra lapalissiano, ma provo a spiegarlo ancora una volta.
I muri non si alzano da soli.
E i primi a ghettizzarli siamo proprio noi, con la nostra presunzione a considerarci giusti, normali, virtuosi, seri.
E credo non ci voglia una mente illuminata a capire che frequentare certi locali metta al riparo dal maschio alfa di turno che, disturbato dalla visione di due uomini che si baciano – ti piacerebbe mica provare amore? – preferisce sfogare la propria inadeguatezza sferrando un pugno nei denti ai provocatori di desideri impuri.
Oppure impugnare un mitra e farne fuori cinquanta in una volta sola.
Io credo che noi, dall’alto del nostro pulpito sicuro e normale, che ci siamo costruiti con impegno, tremando al pensiero che possa vacillare, dovremmo imparare a metterci un po’ di più nei panni di questi ragazzi e ragazze.
Che non sono fatti di strass e piume di struzzo, come ci piace credere, ma di dolore, di sofferenza, di sensi di colpa, tutti sentimenti causati dal nostro perbenismo e dalla nostra morale del cazzo.
Vi siete mai immaginati come vi sentireste a non poter camminare mano nella mano con vostra moglie o vostro marito?
O a essere costretti a vedervi di nascosto, a confessare il vostro amore solo a pochi amici intimi per non essere vittime di bullismo e violenze, a fare di tutto perché il vostro datore di lavoro non venga a saperlo per non rischiare il licenziamento, a nasconderlo ai vostri famigliari per non essere ripudiati o considerati la vergogna di famiglia?
Non dimenticherò mai lo sguardo di un amico, incrociato il 23 gennaio alla manifestazione “Svegliati Italia” in sostegno delle unioni civili.
Era un ragazzo con cui studiavo all’università, mi ha aiutato moltissimo con la tesi e ci siamo persi di vista per tanti anni.
Non sapevo fosse gay e anzi, sono certa che avesse fatto di tutto per tenerlo nascosto.
Era in prima fila, a fianco del suo compagno, a sorreggere lo striscione e le sveglie simboliche con cui volevamo svegliare gli italiani, tutti insieme.
L’ho visto e l’ho salutato con un sorrisone, fiera, a dire “Ehi! Siamo tutti qui per la stessa ragione ed è meraviglioso”.
Il disagio che ho letto nei suoi occhi è stato qualcosa di devastante. Ci ha messo un secondo di troppo a rispondere al mio sorriso. Come se tenere quello striscione in mano fosse ancora una colpa, come se in quella prima fila ci fosse ancora il ragazzo di vent’anni che teneva nascosta la propria omosessualità, per timore di essere giudicato, invece dello splendido uomo di quarant’anni, consapevole e fiero del proprio modo di essere, tanto da metterci la faccia, in prima fila; un uomo capace di lottare per se stesso e per tutti i ragazzi di dieci, quindici, vent’anni che sono quello che era lui, perché non debbano più nascondersi né avere paura di baciare, amare, scopare con chi meglio credono, alla luce del sole.
Credo che Genova questo sabato abbia una responsabilità enorme.
Sarà una delle città italiane che accoglieranno il Pride dopo i fatti di Orlando e dobbiamo essere tantissimi, per dimostrare di non avere paura, e soprattutto di non essere divisi in ghetti, fazioni, partiti, ma insieme per lo stesso obiettivo.
Lasciare un mondo giusto ai nostri figli, invece di chiuderci in casa vivendo col terrore che vengano ammazzati a colpi di pistola nel bagno di una discoteca perché gay, perché hanno la pelle di un altro colore o perché hanno deciso di lasciare il proprio compagno.
Perché la violenza e la discriminazione passano tutte da lì, dallo stesso canale di ignoranza, pregiudizio e schemi sociali duri a morire.
E sono sicura che Genova, con la sua storia di lotta e Resistenza, sarà all’altezza dell’evento.
Sarà una festa per le famiglie, ancora una volta, per tutte le famiglie.
Quindi venite per favore, portate i vostri bambini, i nipoti, i figli degli amici.
Portate i vostri genitori e i vostri colleghi che fanno battute omofobe, perché provino ad aprire gli occhi.
Io avevo deciso di parteciparvi già da qualche mese, e oggi più che mai sono felice di essere presente e portare con me mio figlio, che a cinque anni può iniziare ad imparare il valore della diversità, intesa come unicità che brilla, all’opposto dell’omologazione che appiattisce.
E a tutti quelli che mi chiedono: “Ma come? Tuo figlio al Pride? Ma non hai paura che diventi…?”
“Una persona migliore dici? Beh, sì. Sono pronta a prendermi questo rischio.”