Vi avevo lasciato col mio patetico e orribile tentativo di far passare per oro lucente i miei regali di latta…
Ma non è finita qui.
Finiti i convenevoli vado a farmi le doccia con Pupi e a preparami per la serata.
Prima di entrare in bagno chiedo a Biancaneve un phon, anzi un hairdresser, memore di quando, prima volta in famiglia in Inghilterra, alla richiesta di un phon mi portarono il telefono, per scoprire che nel profondo Nord Europa invece si dice “phon”, ma con la “o” stretta come il vento africano. Bizzarrie linguistiche d’oltralpe.
Entriamo in questo bagno immacolato, che sembrava un mix tra un calidarium e una Spa, e riusciamo a lavarci senza grossi danni, a parte il fatto che penso di essermi lavata con olio per capelli perché fra i 36 bottiglini diversi sulla mensola non sono riuscita ad individuare shampoo e bagnoschiuma, a causa delle etichette scritte in un’idioma incomprensibile.
Tento inutilmente di far dormire Pupi prima di cena, che è sempre più scatenato e stanco, ma invano.
E in camera da letto scopro il tesoro di Biancaneve: in un angolo, una montagna di sacchetti e scatoline di tutti gli oggetti Swarosky acquistati e ricevuti in regalo negli anni, e conservati come reliquie.
Cazzo e stracazzo. Scusate la volgarità.
Prima di uscire mangiamo, e Bree ha preparato una magnifica tavola tutta all’italiana. Spaghetti al ragù, insalata i pomodori e basilico (che immagino avrà pagato a peso d’oro) e sandwiches variamente farciti.
Pupi da il bianco, non sta a tavola, urla, paciuga col poco cibo che gli metto nel piatto e conclude tirando la manica del papà di Biancaneve, che effettivamente assomiglia molto a mio padre, piagnucolando “nonno, cartoni, cartoni”.
Io sono furiosa, una scena patetica, mi passa l’appetito, e Bree e Biancaneve continuano a guardarmi con sguardo pietoso.
Il fumetto “Madre italiana, sospiro, IO non sarò MAI così”, campeggia sulle loro teste dalla piega perfetta.
Arriva l’ora di uscire, e si va.
Giunti al luogo della festa ho la conferma dei miei sospetti: Biancaneve non è Biancaneve manco per la cippa, ed anzi, è la rampolla di una delle famiglie più in vista della città.
Ha affittato l’ultimo piano di un fighissimo museo di arte contemporanea, con una vista mozzafiato sull’enorme canale che taglia in due la città, con barche illuminate a festa che vanno su e giù in uno scenario da favola.
Camerieri zelanti ci accolgono facendoci togliere la giacca, volano avanti e indietro tra bar e cucina assicurandosi che gli ospiti non abbiano mai né il piatto né, soprattutto, il bicchiere vuoto.
Una sbronza colossale.
Una botta di fortuna gigante ha fatto sì che uno degli amici avesse portato con sé il figlio di 5 anni, che ha passato tutta la sera con Pupi. E alle 22 sono entrambi crollati a dormire sui divanetti.
Un sogno.
Almeno quello.
La serata è trascorsa piacevole, a parte la parentesi dell’animazione curata dai ragazzi africani amici di lui, divertente quanto vuoi, ma di fronte a queste cose a me pare sempre un po’ di vedere le scimiette al circo. E non è chiaro esattamente chi siano le scimmiette, se gli animatori o gli “animati”.
Ma il clou è stato vedere arrivare Bree tutta trafelata, in un altro stupendo abito da sera, con in mano uno scatolino di gioielleria. No, non era Tiffany, ma poco ci mancava.
“Tesoro! – fa lei – ho trovato questo nelle doccia, deve essere tuo non è vero?” e mi porge lo scatolino come se contenesse un brillante a 18 carati.
Guardo: il mio orecchino della comunione, fatto con 0,0000000000001 grammi d’oro e zirconi, che metto solo perché la mia pelle invecchiando è così delicata da non tollerare più le chincaglierie che mettevo alle orecchie da ragazzina.
“Graaaazieeeee” belo io “è proprio il mio, che sbadata!”
E penso che mia madre al posto suo avrebbe avvolto tutto in un pezzetto di scottex, o peggio, di carta igienica, che è già della misura giusta.
I giorni successivi sono corsi veloci, senza grossi intoppi. Fino allo show finale, che non poteva mancare.
Baci e abbracci, e arrivati in aeroporto Pupi ricomincia a fare il matto; corre, scappa, e io che mi trattengo dall’urlare onde evitare la classica figura all’italiana in aeroporto.
Ma lui insiste, provoca, sfida, finché si infila al check in degli Emirati Arabi, passando sotto le transenne e arrivando quasi al controllo polizia. (senza che nessuno peraltro tentasse di fermarlo).
“Vieni subito qui, ruggisco io, altrimenti giuro che ti gonfio di botte”
Niente.
Mi abbasso, passo sotto le transenne, spintono, e riesco ad acchiapparlo.
Lo trascino per un braccio urlando “tihodettounmilionedivoltedinonscappareadessobastaaaaaaaa!!!”
Mi fermo e lo scrollo” hai capito?? HAI-CAPITOOOO??!!!”
Silenzio.
Troppo silenzio.
Tiro su lo sguardo. Un terminal immobile.
Sembrava di essere nella scena finale degli Intoccabili.
500 occhi su di me.
Viaggatori, hostess, addette alla biglietteria.
Tutti, proprio tutti ci stanno fissando increduli.
“Merda, ora faccio la fine di quel padre italiano che in Svezia si è preso un mese di carcere per uno scapaccione dato in pubblico a suo figlio”.
Sorrido.
Prendo Pupi per una mano e faccio ciao ciao con la manina.
“Sorry, it’s ok, I’m Italian”.
E me ne vado, orecchie basse.
Raggiungo Biancaneve e l’uomo nero che ridacchiava sotto i baffi, e mi scuso ancora con lei
“sai, odio quando succedono queste cose, mi sento così… così… così… ITALIANA maledizione”.
“Ma sì lo so non preoccuparti, lo sai che i bambini ti mettono alla prova, però è vero dai, tutto questo è così…Italian style! Sai infatti mia madre era così eccitata all’idea di avere per ospite un’autentica famiglia italiana!!”
Ecco, io tutto nella vita mi sarei aspettata, ma mai che la mia famiglia potessere rappresentare la TIPICA famiglia italiana. Che di tipico mi pare di aver esportato solo i capricci di mio figlio e un pessimo modello educativo.
Poi lo vedi come va a finire?
Io che parto convinta di partecipare ad una festa di sciammannati, tra cannette e tamburi, e invece mi ritrovo ad una specie di debutto in società della crème del Nord Europa, a spiluccare tartine al caviale e bere champagne con la nonchalance di chi lo considera acqua fresca.
E la mia famiglia, che io ho sempre considerato con fierezza, e un pelino di snobbismo, un meltin’pot, viene invece considerata tipicamente italiana.
L’importanza della prospettiva: mai sottovalutarla, basta poco e si fa la rivoluzione!