All’inizio di un luglio caldissimo, sul far della sera, la vedova Albertazzi si aggirava inquieta per casa.
L’afa da giorni serrava la città in una morsa asfissiante e lei temeva che quel caldo iniziasse a darle alla testa.
Quello che aveva visto poco prima dalla finestra era degno di una puntata della Signora in Giallo – un peccato che avessero smesso di trasmetterlo in tv – talmente surreale da farle dubitare di essere vero.
La vedova viveva sola, da quando il marito l’aveva lasciata alla rispettabile età di 96 anni. Manteneva sporadici contatti telefonici con la figlia, che viveva a Berlino e scendeva a trovarla soltanto a Natale.
E se l’avesse chiamata per raccontarle ciò che aveva visto, nascosta dietro la persiana? L’avrebbe presa per matta.
Forse avrebbe colto la palla al balzo per chiuderla in una casa di riposo, ma dopo quello che era successo per colpa di quel maledetto virus, avrebbe preferito morire sola dentro casa, che mettere piede in quell’inferno.
Ma lo sguardo che aveva incrociato dalla finestra di fronte non le dava tregua.
Doveva chiamare la polizia? Oppure sua figlia? Afferrò il vecchio telefono cellulare indecisa, e infine compose il numero.
All’inizio di un luglio caldissimo, sul far della sera, Lei si era finalmente lasciata andare fra le sue braccia. A vederli da lontano si poteva giurare fossero due amanti stretti in un abbraccio appassionato, ma ad un occhio attento non sarebbe sfuggita la postura innaturale assunta dai due corpi.
Le settimane della quarantena erano state determinanti per avvicinarsi a Lei, ma sul più bello quell’impicciona della vedova Albertazzi rischiava di rovinare tutto.
Era bastato un movimento dietro la persiana nel palazzo di fronte, che Lui aveva intuito dalla finestra del salone – lasciata priva di scuri in un imperdonabile errore, da imputarsi più alla vanità che all’imprudenza – per intravedere la donna mentre chiudeva di scatto la persiana, non prima di incrociare il suo sguardo per un istante, inesorabile e fatale.