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Declinazioni future

Mi chiedo cosa resterà di noi quando tutto questo sarà passato.
Cosa resterà dei nostri sogni, della nostra rabbia, della frustrazione, della solitudine, delle relazioni umane.
Su quali macerie dovremo ricostruire, quando avremo finito di contare i morti.
Quanto tempo ci vorrà ad elaborare il tutto, oltre che il lutto.
Mi chiedo da dove ripartiranno le nostre vite sospese.
I nostri progetti rimandati, le cose da fare che siamo sempre stati tanto bravi a rimandare e che oggi restano lì a ondeggiare nell’aria, è ancora da capire se come fantasmi o come bolle di sapone.
Se ci perseguiteranno nel rimpianto o se semplicemente scoppieranno, come se non fossero mai esistiti.
Mi chiedo quali conseguenze avrà davvero tutto questo sui nostri figli.
Perché mica le vediamo adesso le conseguenze, no.
Le vedremo tra mesi, e ce le trascineremo dietro per anni.
Quale prezzo pagherà la generazione covid-19?
Sapranno elaborare e comprendere quello che è successo?
Lo racconteranno ai loro figli e nipoti, come facevano i nostri nonni coi racconti sulla guerra? Sapranno apprezzare la libertà, la possibilità di muoversi e viaggiare che oggi ci è negata? Tutto questo farà di loro una generazione migliore o ancora più chiusa e individualista?
E noi adulti? Saremo in grado di riagguantare quei sogni lasciati troppo a lungo a prendere polvere nel cassetto?
Sapremo lasciare quel matrimonio stanco, che in queste settimane ci ha soffocato ancora di più nei suoi rituali, con la sua banalità, le sue insoddisfazioni?
Correremo alla ricerca della felicità? Torneremo a bussare alla porta del nostro grande amore, prendendoci il rischio di trovarla sbarrata per l’ennesima volta? O sapremo finalmente prenderci cura di noi stessi?
Prenderemo quelle decisioni difficili che non abbiamo mai osato affrontare? Per paura, per pigrizia, per ossessione, perché tanto va bene così?
Lasceremo quel lavoro che ci sta troppo stretto da troppi anni?
Torneremo a cercare le amicizie perdute? Gli amori passati? Le occasioni mancate?
Sapremo guardare in faccia davvero i nostri mostri e la nostra solitudine?
O quello che sogniamo è semplicemente tornare alla vita di prima? Con le stesse manie, le stesse ossessioni, le stesse frustrazioni, gli stessi rimpianti, la stessa palude in cui ci barcameniamo da anni perché fa tanto comodo pensare che prima o poi arriverà qualcosa o qualcuno a salvarci?
Un medico al telefono qualche giorno fa ha usato un’espressione felice e terrificante per spiegare cosa dovremo affrontare, passata l’emergenza: oltre alle morti fisiche (che ricordiamolo, stanno mietendo una generazione su cui la nostra di generazione ancora si reggeva e che, privata dell’assistenza e del funerale, avrà difficoltà enormi ad elaborare il lutto), dovremo occuparci delle morti sociali.
Che comprendono tutte quelle situazioni di difficoltà, talvolta tragiche, che covid-19 sta portando a galla, ma che sono figlie di scelte scellerate, a livello politico, amministrativo, umano e sociale, assunte negli ultimi trent’anni, sull’onda lunga dei mitici anni ‘80.
Avremo famiglie distrutte, perché costrette ad assistere figli con disabilità gravi senza averne i mezzi, oppure anziani malati, senza averne i mezzi.
Famiglie che non sapevano come gestire i figli perché costrette a lavorare, che non erano in grado di dare il supporto scolastico necessario perché non parlano italiano, perché in casa non esiste una connessione internet, figuriamoci il tablet, o semplicemente per cultura.
Avremo strappi relazionali enormi, di lavoratrici e lavoratori del sociale o della sanità che per settimane intere non hanno potuto abbracciare e vedere i propri figli e i propri cari, per non correre il rischio di infettarli.
Avremo migliaia di persone che perdono il lavoro, o che per non perderlo saranno costretti a turni massacranti trascurando ancora una volta la famiglia.
Avremo milioni di depressi, di persone che già normalmente non sanno affrontare la solitudine, e che da una clausura imposta escono con l’anima a pezzi.
Avremo bombe a orologeria pronte ad esplodere ovunque.
Avremo persone da rieducare alla bellezza e ai rapporti umani.
Ma tutto questo molto probabilmente si perderà ancora una volta, in nome del profitto.
Sarà che è lunedi, che ho le mestruazioni e che ieri mio figlio mi ha chiesto circa un milione di volte quando potremo uscire e riabbracciare i nonni e gli amici.
Ma oggi non riesco a vedere nulla di buono in quanto sta accadendo.
Siamo individualisti senza speranza, se persino di fronte al lutto, pensiamo di salvarci con una canzone.
Quello serve a noi. A trovare conforto nel silenzio e nella solitudine di un tinello che abbiamo detestato dal primo giorno in cui siamo entrati in quella casa.
Al mondo là fuori serve tornare a vivere, e non è detto che ce la faremo.

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