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Ai confini con la realtà

Ogni tanto l’uomo nero mi regala delle perle di vita quotidiana che superano altamente la realtà. Praticamente vignette surrealiste degne del miglior Dalì.

Dovete sapere che mio marito, nonostante sia l’espatriato per eccellenza, conosce gente OVUNQUE.

E non solo: ha la calamita per intercettare i suoi connazionali, e ultimamente anche i suoi concittadini italiani.

Esempio: è riuscito a conoscere ad Helsinki un ragazzo che vive lì da anni con la compagna africana, ma che originariamente abitava due vie dietro casa nostra.

Meraviglioso.

Qualche sera fa eravamo dai miei, sbragati sul divano, birretta e patatine, pronti e vedere Francia-contro-qualche-cosa, quando squilla il telefono: un numero spagnolo, che strano.

Era una vecchia conoscenza del suo paese, che è imbarcato e ha fatto scalo nella nostra città.

Per vie traverse è venuto a sapere, non solo che adesso abita in Italia, ma anche a rintracciare il suo numero italiano, e ha pensato bene di contattarlo per andarsi a bere una birretta insieme!

Così, alle 9 di sera ci ritroviamo al’ingresso del porto, dove veniamo accolti con la gentilezza del rotwailler da una sorvegliante a dir poco antipatica.

Ora, cercate di capirmi, io non voglio generalizzare e dire che tutti quelli che indossano una divisa sono generalmente degli stronzi che pensano che indossare una divisa, fosse anche quella da panettiere, li autorizza a trattare il prossimo come pezze da piedi abusando del minimo potere che pensano di avere; però devo dire che sono, anzi siamo, perché devo mettere nel mucchio anche l’uomo nero, stati sempre davvero sfortunati con le divise, perche quelle in cui ci siamo imbattuti nel nostro cammino erano sempre, immancabilmente riempite di sacchi di letame.

Ecco, la signora davanti a noi non faceva eccezione.

Con una spocchia e un’aggressività assolutamente immotivati comincia a sbraitare che dovevamo allontanarci, e che era vietato, vietatissimo entrare.

Mio marito chiama allora il suo amico, comandante della nave, per chiedergli in che zona del porto si trova e come si chiama la compagnia.

“Mi scusi signora, faccio io – ma sto cominciando a perdere la pazienza – l’imbarcazione del nostro amico fa parte della compagnia CiroCinalli, possiamo entrare solo un momento a salutare?”

“impossibile, fa lei, qui non esiste alcuna compagnia con quel nome, è un porto commerciale ci sono solo container”

“Se vabbè…”

“E adesso mi fate il paicere di girare la macchina e uscire”

Per fare manovra entro di 37 cmq, perché giuro che non erano di più, nell’area portuale, e ‘sta cretina si mette a sbraitare “le ho detto che non può entrare!! Questa è un’area riservata, deve andarsene, deve girare lì e andarseneeeeee!”

“E’ quello che sto cercando di fare (stronza, sibilo fra me e me), si dia una calmata”

Esco di altri 37 cm dall’area portuale e posteggio ostentatamente davanti all’ingresso, ovviamente senza impedire il passaggio, che del resto è enorme, guadagnandomi strali di fuoco dalla simpatica rottwailer.

Nel frattempo l’amico di mio marito è arrivato, si avvicina alla stronz… rottwailer e le chiede cosa sta succedendo.

Noi ci avviciniamo, io la sto incenerendo con lo sguardo, taccio solo per non creare problemi al nostro amico, altrimenti mi ci sarei già attaccata alla giugulare.

Solo allora noto che il comandante, per venire a salvare noi, è stato evidentemente scaraventato giù dal letto. Pensando di poterci accompagnare a bordo non ha avuto nemmeno il tempo di cambiarsi.

Immaginatevi la scena: la rottwailer paonazza che strepita che non possiamo entrare, lui che pacatamente non insiste e chiede il lasciapassare per uscire; il tutto in tuta, ciabbbatte ortopediche e tazzona termica di tè in mano.

La situazione è a dir poco tragicomica, ma alla fine optiamo per andare a bere qualcosa in un locale poco distante.

Così mi ritrovo alle 10 di sera a scorrazzare due africani, di cui uno in pigiama, che continua a sorseggiare come se niente fosse il suo tè sul sedile della mia macchina, noncurante del fatto che fino a pochi secondi prima si stava accapigliando con una sorvegliante del porto.

La serata scorre piacevole, anche se il nostro trio deve essere sembrato quanto meno bizzarro al gestore del locale, uno dei più “trendy” della zona, che in genere accogli il pubblico del grande teatro cui si trova di fronte.

La perla è stata il comandante che molla la tazza di tè solo per arraffare un bicchiere di pastisse che, giuro, non vedevo bere dal 1997.

Probabilmente i sorveglianti del porto avranno la nostra foto segnaletica in bacheca, ma ne è valsa la pena!

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